3/3/2020. Nel commento alle sconcertanti sentenze della giustizia amministrativa che hanno riportato al punto di partenza l’iter ambientale del masterplan dell’aeroporto di Firenze definivamo quanto accaduto qui una potenziale mina vagante per il sistema aeroportuale italiano, perché per Firenze è stato bloccato quanto fatto usualmente per ogni altra procedura di questo tipo su piani aeroportuali, quindi adesso ogni scalo poteva essere a rischio se sottoposto a simili trattamenti.

La conferma è arrivata immediatamente, lo scorso 24 febbraio, quando il TAR di Salerno ha accolto il ricorso contro il masterplan dello scalo di Pontecagnano promosso a nome di 13 cittadini dallo stesso studio legale di Prato che ha combattuto contro l’aeroporto di Firenze, sollevando gran parte delle stesse cavillosità procedurali usate per minare l’iter svolto a Firenze. E anche a Salerno, dove si blocca il potenziamento della pista, opera essenziale per costruire il sistema aeroportuale regionale Napoli-Salerno, lo sconcerto per quanto accaduto è generale, espresso nei giorni scorsi sulle principali testate campane ed oggi perfettamente rappresentato da una delle più note firme del giornalismo italiano, Antonio Polito, vice direttore del Corriere della Sera, nel pezzo che riproduciamo qui sotto, tratto dalla testata on line del Corriere del Mezzogiorno.

 

Noi meridionali viviamo giornate strane. Per una volta non siamo l’epicentro dell’emergenza nazionale. L’epidemia di Coronavirus è qualcosa che per ora sta accadendo al Nord, nelle regioni più ricche e avanzate del paese, segnatamente Lombardia e Veneto. Questo ha acceso una stupida gara di ripicche e vendette. C’è la signora di Ischia in preda a una crisi nervosa che si filma su Facebook mentre tenta di ributtare a mare i pullman di turisti veneti, e c’è il consigliere di Pavia in preda a una crisi leghista che scrive su Facebook di non accettare lezioni da chi «periodicamente vive nell’immondizia», che poi saremmo noi. Purtroppo è sempre accaduto nelle grandi epidemie: la ricerca dell’untore è una scappatoia irrazionale ma irresistibile di fronte alla malignità della Natura. Non riusciamo a capire che il nemico è il virus, e non le persone. A voler dare un colore regionale alle malattie, si rischia anzi la legge del contrappasso.

Come mi ha fatto maliziosamente notare Gaetano Quagliariello, si potrebbe quasi sovrapporre la mappa dei cori delle curve del Nord contro i napoletani a quella della diffusione del Coronavirus. Lo stesso potrebbe però un giorno accadere (speriamo di no) per chi oggi al Sud è tentato di prendersi la rivincita degli insulti per il colera.

Attenzione: il virus, è stato giustamente detto, è una livella, come nella celebre poesia di Totò, ed è vano cercare di portarlo dalla propria parte, qualsiasi essa sia. Dunque meglio soprassedere, e occuparsi invece dei mali prodotti dall’uomo, gli unici sui quali abbiamo giurisdizione, e quelli che alla fine fanno davvero la differenza in termini di successo e benessere.

Ne abbiamo avuto davanti uno qualche giorno fa proprio qui in Campania. Il Tar di Salerno ha infatti bloccato, su ricorso di 13 (tredici) cittadini quasi tutti proprietari di immobili e terreni nell’area interessata, il progetto per la costruzione a Pontecagnano del secondo aeroporto della regione. Infrastruttura non da poco, visto che nelle intenzioni è destinata ad assorbire e potenziare il rilevante traffico turistico che si dirige verso la costiera amalfitana, portando dunque guadagni alla nostra impresa e posti di lavoro alla nostra gente.

Ma il Tar è intervenuto annullando il decreto del ministero dell’Ambiente che sanciva la compatibilità ambientale del piano, e l’intesa tra la Regione Campania e il ministero dei Trasporti che ne garantiva la compatibilità urbanistica.

Ora la domanda è: chi altri dovrebbe decidere se un’infrastruttura ha un impatto ambientale accettabile se non la Regione e il ministero competente? Che ce l’abbiamo a fare un ministero dell’Ambiente se non può stabilire nemmeno questo? Come fa un investitore a capire quando ha fatto tutto secondo la legge e quando no? Qual è il momento in cui un’opera, ottenuti tutti i lasciapassare da tutti i poteri pubblici competenti, può finalmente partire senza temere che qualcun altro arrivi a bloccare tutto?

Dietro il progetto di Pontecagnano c’è un fondo di investimento internazionale, il secondo in Europa, che già controlla la società di gestione dell’aeroporto di Napoli, la Gesac. La nostra città fu la prima in Italia a privatizzare l’aeroporto, e bisogna dire che si tratta di una storia di successo, una delle poche nel settore dei trasporti. Nel 2019 Capodichino ha accolto quasi 11 milioni di passeggeri, per 106 destinazioni in tutto il mondo, e ha uno standard di qualità riconosciuto dalle certificazioni internazionali. È insomma la prova che a Napoli le cose possono funzionare benissimo, se prevalgono le logiche del servizio al pubblico, della centralità del cliente e della managerialità (qualità che, bisogna dirlo, in molti i campi i privati, in cerca di profitto e non di consenso elettorale, garantiscono meglio dei politici e degli amministratori da loro delegati). A questo punto però Capodichino è a un bivio. Ha bisogno di espandere il suo traffico, perché la crescita del turismo mondiale è esponenziale, perché noi abbiamo Napoli e Capri e Ischia, e perché anche il Coronavirus prima o poi passerà. Ma non può farlo senza provocare un alto impatto ambientale, trovandosi immerso in un contesto urbano. Sceglie dunque l’area di Pontecagnano per costruirvi l’aeroporto più moderno d’Italia, capace di accogliere sei milioni di passeggeri in aggiunta agli undici milioni di Napoli, con risorse raccolte sui famigerati «mercati», quelli di cui noi italiani temiamo sempre la punizione, ma di cui non sappiamo mai cogliere le grandi opportunità in termini di denaro a basso costo per investimenti produttivi (sono previsti 250 milioni di capitali, metà privati e metà pubblici).

Ottenuti i permessi, Gesac avvia dunque anche le prima gara d’appalto, 31 milioni per il rifacimento della pista. Tutto è pronto per una di quelle celebri infrastrutture che i nostri politici citano sempre garantendo di aver finalmente trovato il modo di sbloccare i miliardi bloccati e dare così lavoro e sviluppo. E invece il giudice amministrativo, come nel gioco dell’oca, riporta tutto alla casella di partenza.

Ora la Gesac ha fatto ricorso al Consiglio di Stato, e vedremo come andrà a finire, ma è difficile sfuggire alla sensazione che se continua così, come del resto è avvenuto infinite altre volte per altri investitori, si farà l’idea che forse in Italia è meglio lasciar stare. Qualche settimana fa, in questa rubrica, ho criticato il piano per il Sud preparato dal ministro Provenzano perché rischiava a mio parere di restare un libro dei sogni. Sono stato forse anche troppo severo nei confronti di uno sforzo che comunque non vedevamo da anni di convogliare risorse verso un riscatto del Mezzogiorno. Ma ora mi chiedo e chiedo al ministro: a che servono tanti progetti e tante parole se, oltre all’incertezza politica, l’incertezza del quadro normativo e del soggetto decisore resta da noi così elevata? Gira in rete un bel video, con l’hashtag #Napolinonsiferma, per dire che non ci lasceremo piegare dal virus. Dal virus, finora clemente con noi, forse no; ma burocrazia e confusione dei poteri tengono Napoli e il Sud fermi da decenni, e cosi continuerà a lungo, se chi ne ha il potere non cambia le regole.

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