A poche settimane dal completamento di importanti interventi sugli scali di Bari e Brindisi il sistema aeroportuale pugliese torna a far notizia in questi primi mesi del 2018 per la designazione da parte del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e del Ministro dell’Economia e delle Finanze della “Rete aeroportuale” pugliese. Lo specifico decreto emanato dal Governo rappresenta il primo atto di questo tipo relativo a un sistema aeroportuale regionale italiano, ricomprendendo gli scali di Bari, Brindisi, Foggia e Taranto.

Il sistema pugliese a quattro scali è una realtà di lunga data: il suo sviluppo è stato supportato da tanto tempo nelle politiche infrastrutturali regionali, indipendentemente dal colore politico che ha guidato la Regione (centro-destra, sinistra, centro-sinistra), con piani di sviluppo per tutte le infrastrutture, in parte attuati o in attuazione, in parte in iter con investimenti per oltre 570 milioni e da tempo esiste una società di gestione unica, nata nel 1984 come SEAP (Società Esercizio Aeroporti Puglia), poi diventata Aeroporti di Puglia.

La designazione di “rete aeroportuale” non è quindi di per sé una novità, ma è un altro riconoscimento per l’importanza dei quattro aeroporti, ritenuti tutti infrastrutture essenziali per lo sviluppo non solo economico della Regione. E con tale atto di “messa in rete” sono forniti gli strumenti per sostenere quelli minori, finora scarsamente utilizzati o più bisognosi di adeguamenti, nell’ottica della salvaguardia del patrimonio pubblico statale (quali sono gli scali aerei, indipendentemente da chi li gestisce in concessione) e secondo il concetto di “riserva di capacità” richiamato nell’occasione dalle autorità aeroportuali e regionali. Un concetto che abbiamo spesso evidenziato anche noi raccontando le dotazioni aeroportuali delle principali regioni italiane, tutte con più scali che, anche nel caso di attuali scarsi utilizzi, rappresentano comunque riserve di capacità future a fronte di un traffico aereo destinato alla crescita continua e alla difficoltà di sviluppare oltre certi limiti gli scali maggiori già pressati da importanti volumi di traffico.

La “Rete aeroportuale” pugliese comprende quindi i due aeroporti principali di Bari e Brindisi, entrambi con piste di 3 km, con traffico rispettivamente di 4,7 e 2,3 milioni (dati 2017) e con piani di sviluppo avviati; lo scalo di Taranto Grottaglie, dotato di una pista allungata da 1.710 a 3.200 metri nel 2006 come condizione per l’insediamento nell’area dello stabilimento Alenia Aermacchi (oggi Leonardo) per la produzione di componenti di velivoli Boeing (per permettere le operazioni ai grandi velivoli cargo utilizzati nel trasporto del materiale verso gli Stati Uniti), attualmente senza voli commerciali passeggeri ma potenzialmente utilizzabile in tal senso; Foggia, la struttura minore, con pista di 1.438 metri, attualmente interessata dai soli voli regolari in elicottero per le isole Tremiti (in passato ha gestito voli commerciali con turboelica compresa, nel 1999, una linea diretta con Firenze), da tempo in attesa dell’allungamento della pista a circa 2.000 metri per permettere le operazioni di velivoli a maggiore capacità (per posti e raggio d’azione). Bari, Brindisi e Taranto sono inseriti tra gli scali di interesse nazionale riconosciuti nel Piano Nazionale Aeroporti in vigore dal 2015 (Bari come strategico), mentre Foggia vi potrà entrare proprio con la messa in rete con le altre strutture. Bari, Brindisi e Foggia sono ricompresi nella rete trasportistica europea TEN-T, con ruolo di “comprehensive airport”.

Come sempre, lo sguardo oltre i nostri confini regionali per vedere cosa accade nel resto d’Italia, in tutte le altre principali regioni, evidenzia la piccolezza e la miopia delle polemiche che nel 2018 ancora caratterizzano certe posizioni locali e localistiche nella questione aeroportuale toscana, con le “resistenze” alla creazione di un vero sistema aeroportuale regionale (fatto di infrastrutture aeroportuali normalmente funzionanti) e le assurde discussioni sulla necessità di colmare le storiche carenze di capacità e operatività dello scalo dell’area fiorentina e di avere (perlomeno) due aeroporti adeguati a rispondere alla domanda di traffico aereo generata dalla nostra regione.